Tre animali: i principali vizi dell’uomo

Scrivevo, a conclusione del mio precedente articolo, Nella “selva” che abbiamo dentro, dei mali che minacciano la società civile, dai quali l’uomo è sedotto facilmente. Abbiamo lasciato Dante smarrito nella selva, preso da quel sonno della volontà che impedisce qualsiasi azione. Non c’è un percorso segnato, non c’è una via che indichi una direzione precisa da seguire per poterne uscire fuori. Non c’è niente. Dante procede incerto, timoroso. Anche adesso, nel momento in cui si accinge a raccontarci quell’esperienza terribile, nel suo pensiero ritorna la paura. Però, nonostante il ricordo sia pauroso, il racconto è necessario perché si tratta di un viaggio che, per quanto orribile nel suo incipit, condurrà alla visione del sommo Bene. Anzi di alcune «cose» che anticipano questo bene, dirà a breve. Mentre cammina titubante, giunge ai piedi di un colle, illuminato dai raggi del sole. Il colle si oppone alla selva. La visione del sole, il «pianeta» (Inf., I, v. 17)¹ che conduce l’uomo sempre sulla retta via, lo rincuora. Decide allora di salire il colle per andare verso la luce del sole che illumina le sue pendici e che fa sempre ben sperare. Ora, se la selva rappresenta il buio del peccato, il sole cosa potrebbe mai rappresentare se non il suo opposto? E il colle? Che cosa rappresenta? Il sole nella Commedia è ciò che meglio rappresenta l’immagine di Dio mentre il colle rappresenta la vita virtuosa, ossia predisposta all’esercizio di tutte le virtù necessarie per vivere in modo consono nella società civile. Dante allora tenta la salita “facile”: il colle è lì vicino, la distanza sembra breve; la paura che si era raccolta nel suo cuore si sta sciogliendo e lui si volta a guardare quella selva orribile, allo stesso modo con cui un naufrago, scampato all’annegamento, guarderebbe il mare in tempesta in cui ha rischiato di morire. (Dante si servirà nel corso del poema di molti paragoni o similitudini, proprio per farci capire concretamente la straordinaria esperienza vissuta). Dopo essersi fermato a riprendere fiato ed averci descritto il suo stato d’animo, simile a colui che si salva da un naufragio, inizia finalmente la salita. Immaginate adesso di essere sul divano di casa o al cinema per vedere un film horror. Tutti sappiamo che nel genere horror la colonna sonora del film è fondamentale per dettare i tempi dell’azione e della narrazione cinematografica. La musica, con il suo andamento composto da pause e da ritmi diversi, non rappresenta un semplice accessorio, anzi diviene essa stessa narrazione al pari delle immagini che scorrono sulla pellicola. Quindi, quando il ritmo inizia a salire e a farsi incalzante, ci aspettiamo da un momento all’altro una scena paurosa e orribile, preparata proprio dal contesto sonoro, magari proprio mentre il protagonista è ancora ignaro di quello che gli sta per succedere. Ora l’attacco del verso che preannuncia l’arrivo delle tre fiere, «Ed ecco» (Inf., v. 31), è simile all’ultima nota incalzante che ascoltiamo prima che sullo schermo si materializzi, ad esempio, un mostro orrido che tutto divora. L’avverbio temporale che dà inizio alla sequenza dei versi riferiti alla tre fiere, scatena letteralmente il terrore nel personaggio Dante. Dante, autore della Commedia, utilizza questo avverbio quando, nel corso della narrazione, deve introdurre un elemento nuovo o inaspettato, finalizzato ad irrompere repentinamente sulla scena. Infatti sulla scena si materializza la prima delle tre fiere: una lonza. Ho utilizzato spesso il verbo “materializzare” non a caso. Infatti le tre fiere appaiono e scompaiono dal nulla. Voglio dire che Dante non le vede arrivare, semplicemente appaiono una dopo l’altra e allo stesso modo svaniscono. Per lonza dobbiamo intendere un felino molto simile al leopardo o alla pantera. In un documento del tempo si legge che nel 1285 ne venne portato uno in Piazza della Signoria a Firenze, che fu probabilmente visto da Dante. Che cosa simboleggia questo animale? Per gli aggettivi che le vengono attribuiti, rappresenta la lussuria. Agile e veloce con il pelo maculato, ha quella sinuosità, propria dei felini, che evoca immagini di seduzione e lascivia. L’animale si materializza davanti agli occhi di Dante (e ai nostri) e fa per aggredirlo e indurlo a tornare indietro. Nonostante la paura, Dante nutre la speranza di poter scampare all’animale e spiega da cosa gli derivi tale speranza. È la prima ora mattutina («Tempe’era dal principio del mattino», Inf., I, v. 37) e il sole sta sorgendo con quelle stelle («‘l sol montava ‘n sù con quelle stelle», Inf., I, v. 38), che erano con lui quando Dio diede inizio alla creazione («ch’eran con lui quando l’amor divino mosse di prima quelle cose belle»,  Inf., I, v. 39 – 40). Nel Medioevo era opinione comune che, quando Dio diede inizio alla creazione, il sole fosse nella costellazione dell’Ariete, dove appunto esso si trova in primavera. Quindi è l’alba di un giorno di primavera sotto il segno dell’Ariete. Ecco qual è il motivo della fiducia di Dante di poter scampare alla lonza: l’ora mattutina e la stagione primaverile sono di buon auspicio per i motivi suddetti. Nuova delusione in arrivo: Dante è fiducioso ma non a tal punto da non spaventarsi per l’apparizione improvvisa di un leone che gli viene incontro con la testa alta e con «rabbiosa fame» (Inf., I, v. 47), così terribile nell’aspetto che anche l’aria pare esserne spaventata. Il leone rappresenta la superbia, l’alterigia e la volontà di nuocere. Nessuna tregua per Dante: il leone svanisce, al pari della lonza, per lascia il campo a una lupa. La lupa è il fulcro intorno al quale ruota l’impianto stesso del peccato e del male nella Commedia. Ma vediamo come la bestia si materializza nella scena. La congiunzione «Ed» (Inf., I, v. 49), ad inizio verso, sottolinea la repentinità dell’apparizione. Una lupa che portava impresso nella sua magrezza tutto il peso delle brame umane e che fu causa di dolore e di rovina per molte persone. La lupa: eccolo qui il male assoluto! Il male più grande che minaccia la società cristiana: l’avarizia o in senso più largo, la cupidigia, il desiderio smodato dei beni terreni, causa della corruzione sociale! Di fronte alla lupa che lo respinge verso la selva, Dante si sente perduto. L’aspetto della lupa lo getta in uno stato di così totale affanno e preoccupazione che perde definitivamente la speranza, nutrita finora anche davanti alla lonza e al leone, di poter salire il colle. Dagli indizi a cui ho accennato nel corso della narrazione emerge come Dante si serva di esempi pratici per farci capire alcuni concetti fondamentali. In altre parole Dante fa uso di simboli e allegorie affinché i concetti restino impressi a noi lettori. Il viaggio stesso è un viaggio allegorico (tornerò dettagliatamente su questi concetti nella categoria “Le bussole” del blog). Abbiamo detto che il viaggio è un viaggio universale che offre la strada da percorrere ai fini della salvezza. Un viaggio che Dante ha compiuto all’interno della propria coscienza in un momento di forte smarrimento interiore e che vuole raccontare all’umanità affinché prenda esempio per vivere rettamente. La grandezza di Dante consiste anche nell’aver voluto rendere questo viaggio — fatto di persone, cose , invenzioni, stati d’animo — visibile, oggettivo, in modo da rendere chiari concetti spesso astratti. L’esempio, la similitudine, il paragone, il simbolo, l’allegoria servono proprio a questo: a fornire un esempio in cui tutti possiamo immedesimarci per comprendere. Le tre fiere allora che ruolo hanno? La lonza, il leone e la lupa ci indicano le tre tendenze peccaminose, i tre mali che minacciano l’ordinamento politico e morale della società e che in questo caso ostacolano il pellegrino Dante, smarrito nella selva del peccato, nel suo percorso di pentimento e conversione. Per redimersi e tornare sulla retta via serve l’esperienza del male e una guida per capire e discernere. Vedremo nel prossimo articolo chi sia questa guida.

Paola Orsini

1 Dante segue la concezione tolemaica. Il sistema aristotelico-tolemaico o geocentrico prevede la Terra, immobile al centro dell’universo, a cui intorno ruotano i sette pianeti fisici che noi conosciamo: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno. Quindi per lui il sole non è una stella. Torneremo in modo dettagliato sull’astronomia dantesca — meglio sarebbe dire “astrologia”, dal momento che nel Medioevo così veniva chiamata la scienza che studiava il cielo — perché costituisce la bussola di tutto il viaggio ultraterreno. Ne riparlerò in seguito e più dettagliatamente per il Paradiso e, nel caso, dove occorrerà farlo.)

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